7 novembre 2019. Il primo gennaio 2020 entreranno in vigore le nuove norme della Convenzione Internazionale MARPOL (Annesso VI) dell’International Maritime Organization (IMO), ossia l’Agenzia Marittima delle Nazioni Unite, che obbligano ad utilizzare a livello mondiale carburanti navali con un contenuto di zolfo inferiore allo 0,5 % m/m (massa per massa). Lo scopo è quello di migliorare la qualità dell’aria e diminuire drasticamente l’inquinamento ambientale prodotto dalle navi commerciali che oggi utilizzano combustibile con tenore di zolfo al 3,5%.
Vi sono tre principali opzioni per mettersi in regola con il nuovo regolamento: utilizzare carburante alternativo, tipo LNG (Gas Naturale Liquefatto), usare carburante a basso contenuto di zolfo (ossia non superiore a 0.5%) munire le navi di meccanismi di depurazione dei gas di scarico, cosiddetti “scrubber” – sebbene questa soluzione potrebbe non essere ammessa in alcuni Stati.
“Il mondo dello shipping – spiega l’avv. Lorenzo Macchi, socio dello studio MEP LAW e responsabile del dipartimento trasporti – si sta preparando ad un cambiamento epocale e come in tutti i cambiamenti il periodo transitorio e quello che presenta più criticità. A partire dal 1 gennaio 2020 il limite dello 0.5% si applicherà a tutta la navigazione in acque territoriali ed internazionali – salvo ovviamente non sia previsto un limite più basso come nelle ECAS.”
“Fino ad oggi, le navi commerciali hanno usato carburante ad altro concentrato di zolfo, l’adattamento alla nuova disciplina comporterà un incremento di obblighi di compliance e quindi di costi per gli operatori dell’industria marittima ovvero armatori, società di charter e società di bunkeraggio. Il costo del carburante a basso tenore di zolfo – chiarisce l’avv. Macchi – è considerevolmente più costoso (oltre il 30%) rispetto a quello utilizzato adesso e ci sono non poche perplessità sulla capacità delle industrie di raffinazione di far fronte ad un incremento della domanda. Le compagnie di navigazione che optano invece per l’installazione sulle loro navi dei dispositivi “scrubber” ossia filtri depuratori con il compito di ripulire le emissioni dei motori, sono costrette ad affrontare ingenti extra costi legati alle operazioni di ammodernamento delle navi (c.d. “retrofitting”). Il rischio è questo aumento dei costi che gli operatori dei trasporti saranno costretti a sostenere possa essere traslato sul produttore/venditore delle merci e quindi, a cascata, sul prezzo finale dei prodotti destinati ad essere trasportati via mare.”
“E’ evidente che la riduzione dell’impatto ambientale anche nel trasporto merci sia essenziale. – ha aggiunto Francesco Isola, Managing Director di Rif Line Italy Spa – Ritengo però che una rivoluzione del genere dovesse essere più graduale e sopratutto avrebbe dovuto prevedere delle eccezioni o delle agevolazioni. Aumentare i costi del carburante del 30% significa da un lato far aumentare i costi anche sui prezzi finali, dall’altro mettere in seria difficoltà gli armatori e le società di shipping, in particolare in Italia, dove non vi sono molti gruppi multinazionali “forti” e capaci di organizzarsi velocemente. Oltre al problema dei costi, esiste un reale problema di approvvigionamento del carburante, reso possibile fino ad oggi in maniera limitata e solo in alcuni porti. Ed esiste anche un problema di nuovo addestramento del personale, fino ad oggi in Italia assai limitato. Addirittura il nuovo carburante potrebbe creare danni ai motori. Tutto questo però sembra essere passato senza alcun intervento da parte del Governo italiano, dimenticando il ruolo strategico dello shipping e dell’export per il nostro paese.”
Fonte: Business & Gentlemen