[:it]Le rotte del commercio mondiale sono “mobili” e nel grande gioco geopolitico e geoeconomico la Cina sta cambiando scenari e paradigmi creando interconnessioni più forti fra economie di Paesi diversi a livello globale.
In particolare nel Mediterraneo dove crescono gli investimenti cinesi in infrastrutture – porti, interporti e snodi logistici in Italia e in altri Paesi come ad esempio Grecia, Spagna, Turchia, Israele – con una strategia precisa vista come un rischio ma che in realtà può trasformarsi in una grande opportunità per l’Italia: quella di diventare un hub logistico per l’Europa.
Una sfida che richiede una nuova visione di sistema – partendo da un dato: gli scambicommerciali tra Italia e Cina nel 2017 sono stati pari a 42 miliardi di euro, in crescita del 65% rispetto al 2009 mentre l’anno sorco l’export italiano ha toccato i 20 miliardi – al centro dell’analisi di esperti e protagonisti durante il convegno China Chang, China Chance, Il Dragone nel Mediterraneo: nuove opportunità e scenari per l’economia italiana che si è svolto in Fiera Milano ed è una un’importante tappa di approfondimento economico e culturale a Transpotec Logitec manifestazione di riferimento del mondo della logistica e dei trasporti organizzata da Fiera Milano, che si terrà dal 21 al 24 febbraio prossimi a Verona.
L’Italia ha una potenzialità enorme nell’ambito dell’economia del mare ma ne è quasi inconsapevole: sono, infatti, 480.000 gli addetti diretti e indiretti (senza considerare il turismo) e i traffici producono un valore pari a più del 2% del Pil mentre la nostra flotta mercantile con 16 milioni di tonnellate è un “big” fra quelle dei Paesi del G20 e per quello che riguarda la cantieristica siamo leader nella costruzione di navi da crociera. Ma non c’è sufficiente consapevolezza del ruolo dell’economia del mare nella crescita del Paese, tanto da non avere un Ministero del mare.
Ci sono importanti ritardi da colmare con urgenza tenendo conto che i traffici da Oriente verso il Mediterraneo sono cresciuti esponenzialmente attraverso il canale di Suez ha superato il canale di Panama per traffico (e la Cina in Egitto ha investito in free zone del canale). Situazione che fa crescere l’interesse della Cina per i nostri porti italiani.
E rende indispensabile investire nell’intermodalità avanzata.
Oggi i flussi di merci da e per la Cina interessano principalmente i porti di Genova, La Spezia, Trieste e Gioia Tauro ma spostare le merci sbarcate fino ai principali punti di distribuzione, in gran parte al Nord Italia, ci sono sempre distanze superiori ai 250 km. La vera sfida allora è quella di dar vita a un sistema intermodale in grado di consentire uno spostamento più efficace dei container potenziando le connessioni, superando le logiche di “insana competizione” e rafforzando l’infrastruttura ferroviaria (l’Italia ha ancora i treni merci più corti e con capacità di carico troppo ridotta rispetto alla media europea). C’è quindi un tema decisivo legato alle infrastrutture e collegamenti da modernizzare o completare – non solo ferroviari ma anche per l’autotrasporto – da affrontare non solo per il mercato interno perché dai nostri porti le merci – ma vale anche per le merci che arrivano negli aeroporti – devono poter raggiungere velocemente anche le destinazioni europee pena una inevitabile perdita di competititvità.
La Nuova Via della Seta (la Belt and Road), iniziativa cinese che apre direttrici di scambiotra bacino del Mediterraneo e Asia, e spesso ancora viene accolta con sospetto e diffidenza da parte dell’Europa, rappresenta un’opportunità molto importante: il 31% degli investimenti legati a questa strategia si concentra infatti nel Vecchio Continente. La Via della Seta coinvolge 65 Paesi, il cui Pil complessivo è di 25.000 miliardi di dollari, pari al 31% del Pil mondiale, mentre si stima di 11.000 miliardi di dollari il valore dell’import-export dei Paesi coinvolti, pari a un terzo del commercio internazionale (Fonte: Srm su Unctad).
Non solo. Secondo il Logistics Performance Index della World Bank, l’Italia si è classificata al 21esimo posto in termini di competitività logistica, mentre la Cina è solo 27esima: questo dimostra che il nostro Paese può diventare punto di riferimento per know how e competenza in questo campo, con ottime opportunità di successo e nuove potenzialità di sviluppo.
Ma la Belt and Road non è solo una “rivoluzione” dei trasporti e del processo della logistica fra Europa e Asia, è soprattutto una “rivoluzione della connettività” fatta anche di reti digitali, di comunicazione, istituzionali. Non si spostano solo merci, ma anche risorse finanziarie, energetiche (attraverso gasdotti e oleodotti), di conoscenza. Le stesse infrastrutture devono essere concepite come reti, un disegno che rende incompatibili logiche individualistiche o di concorrenza tra differenti hub logistici. È per questo che l’Italia non è chiamata soltanto ad essere coinvolta all’interno di “rotte” fisse all’interno di un fenomeno come la Via della Seta: in gioco non c’è solo la definizione di vie fisiche ma una complessa rete di relazioni, a cui il nostro Paese può prendere parte da protagonista se riesce a proporre correttamente la propria competenza.
E nei rapporti con la Cina una parte sicuramente non secondaria è rappresentata dall’aspetto della conoscenza indispensabile nella relazioni business to business: occorre infatti comprendere a fondo anche le usanze e la mentalità degli imprenditori cinesi, come rapportarsi con loro. Così al convegno gli interventi dei relatori sono stati intervallati da “inserti culturali” con la partecipazione dei monaci Shaolin la cui cultura dalle origini indiano-cinesi è dal 2010 patrimonio Unesco, che hanno narrato e messo in scena alcune delle tradizioni della millenaria cultura cinese: dalle arti marziali alla medicina, dalla meditazione all’arte della scrittura di ideogrammi fino alla musica.
E un esperto ha spiegato regole di galateo necessarie a non creare involontarie situazioni imbarazzanti durante gli incontri con gli interlocutori cinesi causate dalla mancata conoscenza di usi e regole di bon ton diverse e lontane dalle nostre. Un esempio? Una cena di affari per incontrare un possibile partner cinese, anche se ben curata nei dettagli, può non dare i risultati sperati se chi brinda solleva il bicchiere anziché abbassarlo davanti all’ospite: alzare il bicchiere è infatti considerato un segno di scortesia e superbia e il gesto certamente non sarà apprezzato. Piccole incomprensioni che possono costare care: è per questo che esistono realtà che si occupano di mediare tra rapporti commerciali, ma anche culturali, che sono sempre più al centro delle dinamiche di business con la Cina.