22 luglio 2019. Di colpo il riverbero è quasi accecante, ma socchiudendo gli occhi si vedono quasi a portata di braccia le coste della Spagna e la Rocca di Gibilterra. Siamo sulla banchina di Tanger Med, un gigantesco complesso industriale e portuale a 40 chilometri da Tangeri. File e file di utilitarie Renault brillano nel sole e aspettano di essere imbarcate. Davanti a noi uno dei tratti di mare più trafficato al mondo – ci passa il 20% del commercio marittimo globale – punto d’incontro tra Atlantico e Mediterraneo, tra Africa ed Europa.
Il Marocco sta sfruttando sorprendentemente bene questa fortunata posizione strategica. Lo fa in due modi. Dal 2007, anno della sua apertura, Tanger Med è diventato un hub logistico all’avanguardia, che per numero di container movimentati – l’anno scorso 3 milioni e 400mila – è oggi il primo porto africano, davanti a Durban in Sud Africa e Port Said in Egitto.
E con un nuovo round d’investimenti, concretizzatosi nell’apertura a giugno di due nuovi terminal, dovrebbe essere in grado di triplicare le sue operazioni. Questo significa avere la capacità di gestire entro il 2025 un traffico annuale di 9 milioni di container, 700mila tir, un milione di veicoli e 7 milioni di passeggeri. Attività che lo renderebbero il principale porto del Mediterraneo.
Quasi il 40% dei container in arrivo è previsto che sia smistato verso gli scali dell’Africa occidentale, consolidando così il ruolo assunto da Tangeri di porta d’accesso ai mercati in crescita dell’Africa subsahariana.
Ma Tanger Med è anche un ponte verso l’Europa, essenziale per la politica di sviluppo marocchina. Quindi non solo hub logistico, ma anche polo industriale. Approfittando della vicinanza all’Europa e del basso costo della forza lavoro, il Marocco ha istituito alcune zone di libero scambio a pochi chilometri dal porto e collegate ad esso da una moderna rete ferroviaria. Vi producono, principalmente per l’esportazione, più di 900 società, metà delle quali europee. Il fatturato annuo è di quasi 7 miliardi e mezzo di euro. Quello automobilistico è sicuramente il settore più importante, con Renault che ha costruito a Tanger Med la più grande fabbrica di macchine dell’Africa. Ma producono molto anche i comparti dell’aeronautica, del tessile, dell’elettronica e dell’agroindustriale.
Tra porto e zone di libero scambio – che occupano circa 1200 ettari – sono stati investiti 8,1 miliardi di euro. L’intera piattaforma, sostiene Hassan Abkari, il direttore generale aggiunto di Tanger Med Authority (la società che gestisce Tanger Med), ha creato ad oggi 75mila posti di lavoro, 70mila nell’industria, 5mila nel porto, con il 95% delle persone assunte di nazionalità marocchina.
Nonostante lo scambio globale di merci via mare sia in calo (una frenata che in realtà da un po’ di anni riguarda la globalizzazione per intero), il porto di Tanger Med, secondo il suo direttore, ha le carte in regola per crescere. “Ogni anno 100mila navi attraversano lo Stretto di Gibilterra, e la maggior parte deve fare un trasbordo di container. Siamo in eccellente posizione per intercettare questo traffico”.
Tanger Med poi dovrebbe essere favorito anche da un’altra circostanza, quella che vede le compagnie di navigazione costruire navi sempre più grandi, con capacità di carico fino a 20mila container, per sfruttare economie di scala e prezzi bassi del carburante. Questo fa aumentare necessariamente il volume dei trasbordi di merce, perché sono davvero pochi i porti in grado di accogliere navi così grandi. Uno di questi è proprio Tanger Med. “Siamo entrati in un ristretto club di super porti. Facciamo attraccare navi che caricano anche 20mila container e possiamo smistare la merce in 186 scali in 77 paesi del mondo”, spiega Abkari.
Quasi il 40% dei container è smistato verso gli scali dell’Africa occidentale, mentre il 26% è diretto in Asia, il 27% in Europa e il 9% attraversa l’Atlantico. Se da una parte Tanger Med ha creato un polo industriale collegato da un flusso di navi che funge quasi da ponte verso l’Europa, dall’altra la sua crescita conferma il piano del Marocco di agire come porta d’ingresso all’Africa occidentale e subsahariana. “Tanger Med è collegato a 40 scali in 12 paesi dell’Africa occidentale: diventa quindi uno strumento essenziale per lo sviluppo di quelle economie, perché ne migliora l’accesso ai mercati globali”.
C’è da dire che finora la crescita degli scambi con l’Africa subsahariana – aumentati del 12,8% all’anno tra il 2010 e il 2015 – ha portato vantaggi più che altro alla bilancia commerciale del Marocco, visto che il paese esporta in quei territori parecchio di più di quello che importa. Ma è senz’altro vero, però, che dal Marocco sono in netta crescita gli investimenti diretti nel resto dell’Africa, in particolare subsahariana.
Molto di questo impulso viene dal re Mohammed VI, che ha fatto dell’espansione delle attività economiche e della diplomazia in Africa un punto nevralgico della sua strategia di sviluppo. Tra il 2008 e il 2013, il 63% degli investimenti diretti esteri (FDI) marocchini è stato effettuato in Africa subsahariana. Quota che poi, secondo l’African Development Bank, è salita all’85%, collocando il paese tra i più importanti investitori nel continente. I principali destinatari di FDI marocchini sono Mauritius, Costa d’Avorio, Nigeria, Senegal e Mauritania. Il Marocco vuole anche proporsi come base per le società europee che cercano di fare affari con l’Africa subsahariana. A tal fine, ha costituito la Casablanca Finance City, una zona speciale che offre sgravi fiscali e altri incentivi.
Parallelamente, le banche marocchine negli ultimi 15 anni hanno allargato il loro network a 11 paesi dell’Africa subsahariana. Banque Centrale Populaire ha comprato da poco una banca in Mauritania e sta valutando quattro grosse acquisizioni in Camerun, Madagascar e Congo. Tra il 2009 e il 2017 il suo fatturato fuori dal Marocco è cresciuto dell’800 per cento. Un’altra banca, Attijariwafa Bank, si sta espandendo in Ruanda, Kenya ed Etiopia. Le sue vendite internazionali sono passate dal 15 al 33 per cento del totale dei ricavi. Non senza qualche rischio. L’anno scorso il crollo del più grande esportatore di cacao della Costa d’Avorio ha lasciato le due banche marocchine con un buco di crediti deteriorati di 44 milioni di euro.
Ma i rischi economici di questo pivot verso l’Africa si mischiano anche ad incognite di natura più diplomatica. Nel 2017 il Marocco ha fatto domanda per entrare nella Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale. Da allora ha stretto accordi d’investimento con gran parte di questi paesi. Tuttavia, la sua richiesta è stata respinta.
Da una parte continua a esserci la questione dei territori contesi del Sahara Occidentale, con l’Unione Africana che riconosce, in contrapposizione al Marocco, la Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi. Dall’altra, c’è l’ostilità della Nigeria. “L’adesione del Marocco è un tentativo diretto di ridurre la nostra influenza come forza politica ed economica”, si legge in un documento dell’Associazione nigeriana dei produttori manufatturieri. Suscitano poi un certo allarme gli accordi di libero scambio firmati da Rabat con Unione Europea e Stati Uniti. Il timore è che il Marocco diventi una specie di cavallo di Troia delle società europee e americane. Usato per esportare in Africa merci prive di tariffe.
Fonte: www.ispionline.it